News del 7 Febbraio 2017
Vi proponiamo una ricerca storica sulle origini dell’agretto, pianta alla quale dobbiamo tanto e ad oggi uno dei prodotti di punta della nostra gamma.
La storia nascosta degli “agretti”
Può una pianta, già «sprezzata (…) per il suo aspetto un po’ spinoso», celare una storia affascinante, dove l’ingegno dell’uomo si intreccia con i tesori inaspettati della natura? Di nomi ne ha tanti (“riscolo”, “barba del frate”, “barba del Negus”, “erba del monaco”), e già questo ci indica l’antico uso popolare. Ma andiamo per gradi.
L’agretto, nome con cui oggi è più comunemente conosciuta la Salsola Soda è una pianta che appartiene alla famiglie delle Chenopodiaceae. Il suo luogo d’origine è il bacino Mediterraneo, in particolare delle zone costiere e sabbiose, dove questo piccolo arbusto cresce sfidando le brezze marine e le maree. Il suo uso è antichissimo, e già da Egizi e Fenici veniva utilizzato come erba aromatica o medicamentosa. Tale utilizzo rimase in voga presso i monaci, spesso custodi gelosi delle sapienze del mondo antico, che la coltivavano negli orti di abbazie e monasteri. Questi ultimi furono anche coloro che la trapiantarono per primi in montagna: le coltivazioni ebbero successo, anche se le foglie dell’agretto risultavano meno salate e carnose. Ma la vera fortuna della pianta dovrà attendere, e sarà legata non all’aspetto agroalimentare, ma, per quanto possa risultare assurdo, al vetro.
Probabilmente la procedura era antichissima, ma poco conosciuta, e consisteva nel bruciare grossi fasci di agretto, raccoglierne la polvere e purificarla. Ne derivava una miscela composta principalmente da Carbonato di Sodio (la “soda” in sostanza), che era necessaria per la realizzazione del vetro. E, a differenza di quelli prodotti in area germanica, ottenuti dalle ceneri del legno, quelli prodotti a partire dagli agretti erano più puri e facili da modellare e decorare.
Tra tutte le nazioni mediterranee fu la Spagna tra il 1500 e il 1600 a capitalizzare la produzione dell’agretto (che in lingua spagnola si chiama Barilla), divenendone la prima produttrice al Mondo, con esportazioni principalmente in Inghilterra e Francia, dove veniva utilizzata per la realizzazione di vetri pregiati per bicchieri, quadranti di orologi, lenti da occhiali e cannocchiali.
Intorno al 1700, stimolati dal successo delle produzioni iberiche, anche in Italia si inizia a coltivare in modo massiccio l’agretto; sono anche gli anni in cui le neonate società botaniche si interessano a questa pianta, dedicandole decine e decina di studi, opuscoli e perfino interi volumi. Un dottore e botanico del tempo, Domenico Ranaldi, nel 1804 scriveva che «dalla Sicilia alla Calabria e altre regioni del Regno di Napoli viene commerciata una qualità di soda detta “ceneri della Sicilia” (…), la quale altri non è in realtà che le ceneri di questa pianta», e che, ricercate per la loro purezza, potevano rivaleggiare con quelle prodotte nelle zone spagnole dell’Alicante o di Cartagena. Oltre a questi utilizzi, in quegli anni i derivati dell’agretto iniziano ad essere utilizzati anche per la tintura del cotone, per la produzione di cristalli pregiati (riuscendo a rivaleggiare perfino con quelli di Boemia), e di saponi.
Purtroppo a fine 1800 i metodi di produzione della soda cambiarono, e per l’agretto iniziò un breve periodo di decadenza. Molte culture furono rapidamente sostituite, e di questa importante pianta si perse quasi memoria. Solo negli ultimi venti anni si è ripreso con un certo impegno la produzione, stimolata sopratutto dalle infinite qualità nutrizionali e dal sapore particolare: una nuova vita per questa piccola e fiera pianta.
Se avete trovato interessante la ricerca sulle origini di questa pianta, vi invitiamo a leggere la >scheda tecnica dell’agretto<
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